Il nostro Caucaso: molto più di un viaggio di nozze
Il viaggio inizia dove si è fermato l'ultimo nostro passaggio ad Est, quel confine tra Turchia e Georgia che avevamo soltanto sfiorato, ma ci eravamo promessi di superare. 12.800 km in circa due mesi che ci hanno permesso di esplorare con calma Georgia, Armenia e l'isola di Cipro
L'inizio di un nuovo viaggio insieme

Quando due persone decidono di sposarsi, di solito, fanno una lista nozze in un negozio di articoli per la casa e prenotano una luna di miele in qualche posto esotico. Noi, invece, fissata la data del matrimonio, siamo entrati nella concessionaria Honda di fiducia e ci siamo regalati la nuova CRF1000 Africa Twin; abbiamo messo in lista nozze tenda, attrezzatura da campeggio e divise nuove per la moto, ed iniziato a programmare un viaggio on the road che ci portasse a visitare la Georgia, l'Armenia e Cipro. 
L'idea era quella di non fare due volte la stessa strada e così abbiamo pensato l'andata via terra attraverso i Balcani e la Turchia e il ritorno utilizzando il traghetto da Igoumenitsa ad Ancona. In questo modo è stato possibile inserire un'ultima fermata di 5 giorni nell'isola di Lefkada, in Grecia.

espresso diretto per il caucaso

Cosa ci rimarrà negli occhi dei primi cinque giorni di viaggio?

Sicuramente la curata cittadina di Samobor nella quale gli abitanti di Zagabria vengono a passare weekend di relax; la cittadella di Nis e la sua vivace vita notturna così simile a Belgrado; ma sopratutto l'immensità geografica e la diversità della Turchia. Questa volta l'abbiamo attraversata in soli tre giorni, ma abbiamo comunque rivissuto parte dei nostri viaggi: il battello sullo stretto, i verdi boschi, l'infinita costa del Mar Nero e i gustosi piatti della cucina tipica.

Ognuno dei Paesi che abbiamo attraversato meriterebbe un viaggio, ma i 3.400 km che ci dividevano dal nostro ingresso in Georgia ci hanno imposto una tabella di marcia per noi poco abituale.

Vogliamo però raccontarvi di un incontro straordinario: in una tipica sosta pranzo - benzina di questi giorni notiamo un motociclista che scruta attentamente la nostra moto, dopo un minuto ci troviamo a parlare con Adrian, un motociclista argentino di passaporto italiano che viaggia a bordo di un Transalp sudafricano. Dopo aver completato la Panamerica, è partito dal Sud Africa per arrivare a Capo Nord ed ora sta viaggiando da Barcellona a Sidney! (http://www.africatwin.com.ar/) Simpaticissimo, ci conquista per più di un'ora a parlare dei suoi e dei nostri viaggi. Ma è già tempo di ripartire, perché Gelibolu e il suo stretto ci aspettano.

Batumi: introduzione facile alla Georgia

Una frontiera oltre la quale cambia tutto; bastano pochi metri in Georgia per vedere un nuovo alfabeto, tratti somatici diversi e auto che viaggiano impazzite. 

Batumi non rappresenta certo la Georgia più vera, ma piuttosto una città che si sta rinnovando per cercare di attirare nuovi avventori. La torre dell'alfabeto e i palazzi del lungomare provano a renderla più moderna di quello che è in realtà, mentre sui viali sfrecciano macchine di grossa cilindrata di chi vuol dimostrare di aver raggiunto un certo benessere. Gli alberghi di lusso aspettano i nuovi ricchi della Russia così come i casinò e i night club. La vera anima della città, però, è palpabile nelle zone più popolari, dove permangono indelebili i segni del periodo sovietico con palazzoni che cercano di essere abbelliti con colori sgargianti, e nelle bancarelle lungo strada nelle quali possiamo vedere quanto il costo della vita sia proporzionato allo stipendio medio dei Georgiani. Guest house, come quella che ci ospita, offrono l'occasione di entrare a contatto con la squisita ospitalità dei suoi abitanti, che aprono la propia casa a famiglie ucraine e armene venute a cercare un po' di relax.

mestia e lo svaneti: ovvero sterrare ed errare in georgia

Lasciamo l'umida e calda Batumi mentre la città ancora dorme per iniziare a seguire la strada che ci porterà alla scoperta dello Svaneti, una delle regioni dell'alto Caucaso. Dai primi chilometri possiamo già intuire quanto gli spostamenti si faranno più lenti in Georgia con statali che attraversano piccole città, mucche che pascolano lungo la strada e auto la cui guida deve far mantenere alto il livello di attenzione.

Appena la strada inizia a salire si intravedono i primi scorci sulle alte vette innevate; gli ultimi 50 chilometri che ci separano da Mestia scorrono lenti ma, allo stesso tempo, piacevoli. Aggirano monti e attraversano la valle scavata da fiumi impetuosi. Pastori che guidano mandrie bovine e bambini salutano al nostro passaggio in una nazione dove sembrano non esistere motociclette. Mestia con le sue "koshki", torri difensive, ci appare all'orizzonte e sarà la nostra base per l'esplorazione di questa zona. Dopo aver visitato il bel museo di storia regionale, passiamo il pomeriggio tra forni e piccole botteghe per procurarci il necessario per i due giorni successivi.

La guest house che ci ospita è piccola e accogliente e le cene preparate da Rosa hanno il sapore tipico di montagna e vengono condivise ad una tavola comune. Conosciamo tra gli altri un iraniano aperto e voglioso di fare amicizia, che con le sue parole ci suggerisce nuove mete future ed una coppia di Giapponesi che passerà un mese in Georgia.

Per tutto l'inverno Francesco ha cercato di migliorare la sua guida in fuoristrada sapendo che alcuni dei paesaggi  più belli del Caucaso potevano essere raggiunti solo tramite sterrate. Il primo vero esame è quello di provare a raggiungere Usghuli seguendo per circa 40 chilometri una strada che inizialmente raggiunge un passo a circa 2.000 metri e segue poi il fiume in una valle incontaminata. Se stretti tornanti, elevate pendenze e piccoli guadi non ci hanno creato grandi problemi, ci ha pensato il fango a farci fare un paio di scivolat,e per fortuna prive di conseguenze. La vista di Usghuli circondata dal verde intenso dei prati, lambita dal celeste del fiume e con lo sfondo dei monti innevati ci regala un quadro di altri tempi che sarebbe stato difficile da immaginare.

Il secondo giorno lasciamo la moto a riposare  e seguendo un ripido sentiero nella foresta di conifere raggiungiamo i laghi Koruldi a 2800 metri dove la primavera sembra essere appena arrivata e la neve che ricopre i laghi sta iniziando a sciogliersi. Da qui si capisce la maestosità della valle e il silenzio rotto solo dallo scorrere incessante dell'acqua accompagna la vista di queste montagne incontaminate riflesse sull'acqua.

kutaisi, tiblisi e i contrasti delle cittÀ georgiane

Tra le montagne dello Svaneti e la capitale Georgiana decidiamo di fermarci a Kutaisi, una delle più antiche città del Paese, ma di questa lunga storia rimane traccia solo nella sua maestosa cattedrale. A noi rimarranno invece negli occhi i colori e i profumi  del vivace mercato cittadino, ricco di prodotti locali di ogni sorta e ricorderemo il calore di una serata passata con la signora che ci ospita a vedere la partita dell'Italia davanti a un buon bicchiere di vino, parlando del nostro lavoro di insegnanti che presenta ovunque gioie e dolori simili. 

Tiblisi, bella, incredibilmente bella e varia, quasi quanto la gente che vi abita e la visita, va vissuta di giorno e di notte, quando le luci la rendono forse ancor più affascinante mentre la si osserva dalla funivia che porta alla cittadella. Dall'alto della collina in cui si trova il parco divertimenti possiamo osservare la grandezza di una città in cui vive quasi un quarto dell'intero popolo georgiano, mentre salire verso una delle chiese più moderne della nazione, con lo sguardo che spazia verso le antiche cattedrali, ci ricorda ancora una volta la storia cristiana di questa nazione. La sera i musicisti jazz sfidano con le loro note la musica commerciale dei locali che vogliono richiamare soprattutto giovani del posto e turisti in cerca di divertimento.

Architetture contemporanee accanto a quartieri popolari ci regalano visioni di forte contrasto. Nonostante le grandi macchine che sfrecciano sui viali lungo fiume o i maestosi palazzi del potere, non si può fare a meno di notare che vi è una parte degli abitanti che vive in condizioni di povertà e che, riconoscendoci come turisti occidentali, si raccomanda per ricevere qualche spicciolo, al contrario di ciò che capita nei villaggi di montagna, nei quali il legame con il lavoro di agricoltura e pastorizia permette una vita fatta di sacrifici ma dignitosa.

Il monastero di Davit Gareja

Lasciata l'autostrada del Kakheti, svoltiamo sulla strada che conduce verso il monastero di Davit Gareja. Questa mattina, forse presi dalla fretta di arrivare, commettiamo qualche errore da principianti. Prima di tutto, se si vuol visitare un monastero in un luogo isolato converrebbe avere il serbatoio pieno e, se per arrivare al monastreo si deve attraversare un passo di montagna, converrebbe essere vestiti adeguatamente....

Noi non abbiamo fatto nè l'una nè l'altra cosa ma, per nostra fortuna, ci risolve il problema del pieno un abitante di Udabno indicatoci da altri cordiali cittadini come "colui che ha la benzina nel paese". Più che il freddo è stata la nebbia che abbiamo trovato per strada a rendere più difficile il tragitto ma, passato Udabno, la nebbia ha iniziato a diradarsi e nei venti chilometri di sterrato che ci separavano dal monastero abbiamo ammiriato tra i più bei paesaggi che il Caucaso ci ha regalato. Colline verdi appuntite, laghi di fondovalle e grandi prati fioriti. La vista spazia in questo territorio immenso, abitato solo da mandrie di mucche e dai loro pastori.

La strada non è difficile, ma richiede attenzione. Forse rapito dal panorama, Francesco ha un attimo di distrazione e, mettendo la ruota anteriore in una pozza fangosa sul ciglio della strada, perde l'equilibrio e la moto scivola giù. Attimo di panico, Serena scende al volo, la moto si ferma. TUTTO OK, basta solo trovare qualcuno che ci aiuti a tirarla su. Nel Caucaso il problema non si pone e Serena trova un'intera squadra di operai pronta ad aiutarci.

Ci scrolliamo il fango e la paura di dosso e raggiungiamo il sito del  monastero.
Il monastero di Lavra, situato più in basso, è ancora abitato e le celle dei monaci sono scavate nella roccia così come era stato nel VI secolo, quando è stato fondato. Risalendo la collina fino al crinale si raggiungono invece i resti del monastero di Udabno, del quale rimangono solo alcune stanze affrescate scavate nel fianco della montagna e una piccola chiesa. Dalla cima lo sguardo è rapito dalle pianure desertiche dell'Azerbaijan che contrastano il verde intenso della Georgia. Nel silenzio che amplifica gli spazi, si capisce perché Davit Gareja scelse questo luogo per ritirarsi in preghiera e i monaci lo seguirono dedicandosi allo studio e alla meditazione.

Hanno provato a distruggere questo monastero tutti gli invasori della Georgia, da Tamerlano ai Persiani, fino all'impero sovietico, ma la devozione degli abitanti del luogo ha permesso la sua conservazione.

Caucaso Maggiore: KAzbegi e le sue valli incontaminate

La strada militare georgiana fu fatta asfaltare dai russi durante l'invasione del Caucaso alla fine del XIX secolo; Ananuri è una piccola cittadella fortificata sulle sponde di un lago che si incontra poco dopo l'inizio di questa strada. Proseguendo lungo il confine con la Russia godiamo di panorami via via più belli; siamo nella parte più orientale del Caucaso maggiore e le valli sono molto più ampie di quellE viste nello Svaneti, ma del solito verde intenso, con torrenti che creano cascate scendendo verso il fiume Aragvi che scorre a fondovalle. Si sale fino ai 2.379 metri del passo Jvari, dove le aquile volteggiano sopra di noi, per scendere poi fino ai 1.700 di Stepatsminda, la piccola cittadina che ospita durante il giorno migliaia di turisti, escursionisti ed alpinisti che vogliono esplorare  le montagne circostanti e sarà la nostra base per due notti. Appena entrati nella Guest House, il clima caldo e familiare ci fa capire quanto la padrona di casa tenga ai suoi ospiti preparando regali colazioni solo con prodotti artigianali e aiutandoci a confezionare deliziosi pacchi pranzo per le nostre escursioni. Sua figlia ci regalerà diversi spunti e consigli sulle cose da visitare e sul come raggiurngerle. Esploriamo la valle dello Sno percorrendo la bella sterrata che sale fino al villaggio di Juta, a 2.200 m. La vista spazia su una valle molto aperta, mentre il fiume Sno è sempre più in basso. Torniamo sulla strada militare per cercare di arrivare alla frontiera con la Russia. Pochi chilometri prima del confine, però, capiamo il perchè del poco traffico e delle file interminabili di Tir parcheggiati prima del passo: la strada è chiusa a causa di una frana. Conosciamo due motociclisti russi che aspettano dalla mattina di poter varcare il confine e due alpinisti polacchi con il sogno di scalare l'Elbrus, la vetta più alta del Caucaso che si trova in Russia.

Sopra Stepatsminda si trova la chiesa di Tsminda Sameba, che inizialmente volevamo raggiungere con la moto. Le condizioni della strada non ce lo permettono e, avendo comunque voluto continuare l'escursione verso il ghiacciaio, decidiamo di partire direttamente a piedi dal paese. Il sentiero risale ripido la montagna incrociando la strada in più punti; giunti alla chiesa la fatica viene subito ripagata dalla vista della vallata sovrastata dalla vetta innevata del monte Kazbeg che supera i 5.000 metri. Qui conosciamo Daniel, giovane colombiano che alla fine del suo soggiorno studio in Israele ha deciso di visitare queste montagne e tenterà di scalare il ghiacciaio in solitaria. Durante il faticoso tragitto che ci porta ai piedi del ghiacciaio, a circa 3.000 metri, scopriamo che Daniel studia agraria, è amante del ciclismo e chiaramente tifa Chavez. Giunti all'inizio della neve perenne, noi decidiamo di fermarci per la pausa pranzo, durante la quale chiacchieriamo oltre che con Daniel con una giovane coppia di israeliani, entrembe guide turistiche, a cui però piace viaggiare senza guida altrui. Inbar, la ragazza, parla un po' di italiano perchè ha vissuto per un periodo a Firenze per imparare la nostra cucina.
Il vento e l'arrivo delle nuvole ci spingono a tornare verso valle, mentre i nostri amici proseguiranno fino ai 3.600 metri della stazione metereologica dove passeranno la notte. Scendendo la vista sulla valle e la chiesa è forse ancora più stupefacente, anche se il silenzio che aveva accompagnato la liturgia mattutina a cui abbiamo assistito è ormai solo un ricordo per via dei tanti turisti portati su dai furgoni 4x4.

il KAkheti

Il cupo cielo della mattina è un’introduzione perfetta ad una tappa che doveva essere semplice e veloce e che si trasformerà in un tragitto infinito. Appena svoltiamo poco dopo Ananuri per imboccare la strada che ci dovrebbe condurre nel Kakheti tagliando Tbilisi, capiamo che non sarà tutto così facile e, dopo pochi chilometr,i ci vediamo costretti a tornare indietro per via di una interruzione che rende impossibile proseguire oltre. Poco prima di Tbilisi imbocchiamo quella che dovrebbe essere la tangenziale nord. Impieghiamo circa un’ora a compiere i suoi 30 chilometri per via delle tante parti sterrate e dell’innumerevole presenza dei tir; il tutto sempre sotto una pioggia battente. A 80 chilometri dalla nostra meta, quando la strada sembrava scorrere più veloce, e ci eravamo illusi di essere quasi arrivati, ci troviamo a salire verso il passo Gombori a 1.600 metri. La strada, che al ritorno, sotto un cielo sereno, si rivelerà bellissima con panorami incredibili sui monti circostanti, all’andata, sotto la pioggia, sembra toglierci la speranza di arrivare prima dEL buio. Come un miraggio appare il Kakheti con le sue pianure ed i suoi vigneti e l’azienda vinicola che ci avrà suoi ospiti.

Il vero motivo che ci ha spinto in questa regione è, però, il vino. Il vino georgiano nasce da una tradizione di oltre 7.000 anni e le aziende vinicole utilizzano ancora oggi il metodo di produzione tradizionale mediante i “qvevri” anfore interrate in cui il vino viene fatto fermentare. La nostra degustazione comprende Rkatsiteli,vino bianco secco con 12°, e due rossi di vitigno Saperavi: uno più secco e dal sapore intenso e l’altro semi dolce, davvero ottimo per accompagnare i desserts. Il tutto servito con un’ottima cena a base di “mtsvadi”, spiedini di pollo e maiale e squisite verdure grigliate. L'antica tradizione si riflette nel gusto unico di questi vini esportati in buona parte del mondo, ma difficili da trovare in Italia.

impatto Armeno: il degrado post sovietico e il toto cutugno che non ti aspetti

Forse ancora assopiti dal buon vino della sera prima decidiamo di partire più tardi del solito non valutando il nuovo passaggio di frontiera. Se l’uscita dalla Georgia è semplice e veloce, l’ingresso in Armenia si rivela complicato e piuttosto lungo. Il controllo passaporti è praticamente immediato, ma per la moto occorre convalidare l’ingresso con un documento che viene redatto in un ufficio privo di aria condizionata e totalmente disorganizzato. Così, mentre Francesco aspetta al caldo accanto alla moto, Serena si ritrova ad essere l’unica donna in fila tra decine di uomini con l’addetto che la indirizza pure nella fila sbagliata. Risultato: ci vogliono circa due ore affinchè il foglio venga compilato. Successivamente c’è da stipulare l’assicurazione e ne abbiamo per un’altra mezz’ora. La M5, principale via di collegamento tra Georgia ed Armenia, non è altro che una stretta strada nella gola del Debed scenograficamente bellissima. Si procede alla media di 40 km/h a causa del fondo distrutto o addirittura mancante con continua guida enduristica a pieno carico, disturbata  da autisti di tir e macchine che sono di fronte ad una moto, forse per la prima volta. Ci fermiamo a Hagpat e da lì visitiamo alcuni monasteri circostanti.

Ciò che più ci colpisce, però, è Alaverdi, la città post industriale sovietica per eccellenza: la miniera di rame, oggi sotto utilizzata, ci propone una vista sconvolgente di capannoni e condomini in stato di abbandono e il colore dominante è quello della ruggine che sta lentamente consumando le strutture. Il fumo della ciminiera è portato sulla cima della montagna da una lunghissima tubazione e ad oggi sono pochissimi i lavoratori nello stabilimento.

Mentre ceniamo nel giardino dell’albergo sentiamo della musica provenire da sopra di noi; preso il caffè, incuriositi, saliamo pochi gradini e scopriamo un banchetto di amici e familiari. In men che non si dica ci ritroviamo seduti davanti ad un bicchiere di vodka con il capofamiglia che ci invita al brindisi e al cibo. Vogliono sapere da dove veniamo e ci ripetono cento volte della fratellanza tra il popolo armeno e quello italiano. I musicisti ci dedicano canzoni e le signore ci invitano a ballare. Il risultato è che finiamo la serata a cantare “Io sono un italiano” di Toto Cutugno tra abbracci e baci. Questa è per noi l’introduzione alla disponibilità e alla gentilezza del popolo armeno.

dilijan

Percorriamo la strada di montagna attraversando i villaggi russi di Lermontovo e Fioletovo, in un paesaggio di pascoli di altura sopra i 2.000 metri. Dalla strada i villaggi ci appaiono privi di strade asfaltate e come agglomerati di baracche da cui spuntano giovanissimi pastori che ci salutano a gran voce. Arrivati a Dilijian abbiamo un’altra prova dell’ospitalità del popolo armeno. Tra chi ci fa telefonare alla guest house e chi ci indica la strada per arrivarci dopo che avevamo tentato di percorrere una sassosa salita rivelatasi poi senza uscita, caricando in macchina Serena ed aiutando Francesco a spostare la moto. L’ambiente circostante è caratterizzato da alte montagne verdeggianti da cui spunta, però, una coltre di nubi minacciosa che si tradurranno in chicchi di grandine grandi come palline da ping pong. Visitiamo Jukhtakvank e il piccolo centro storico, con una sosta al market dove veniamo circondati da bambini ed adulti curiosi nel vedere una moto come la nostra in paese. Cerchiamo di accontentarne qualcuno che vuole una foto in sella alla nostra Africa. Prima di tornare a casa saliamo fino al monumento sovietico per i caduti della II guerra mondiale, un’enorme statua argentea di un soldato che trasporta un compagno morente. Un anziano che passeggia nei dintorni rende ancora più triste questo ricordo di una parte di storia che sembra voler essere dimenticata da tutti. La mattina seguente il tempo lascia poche speranze e la passiamo  tra lavatrici, riposo e studio delle prossime tappe. La nostra attesa sarà ripagata da un pomeriggio di sole, che ci permetterà di visitare Haghartsin e Goshavank da cui effettueremo un’escursione a piedi per ammirare bellissimi paesaggi.

Il lago sevan e... finalmente tiriamo fuori la tenda!

Il lago Sevan ci appare all’orizzonte come un enorme specchio blu a cui fanno da cornice alte vette ancora ricoperte dalla neve; siamo a 1.900 m. Ci fermiamo a visitare il monastero di Sevanank del quale ancora una volta ci colpisce la posizione, abbarbicato sulla penisola a dominare il lago. Proseguiamo lungo la costa sorpresi per la presenza di un lago così immenso ad una quota così elevata. Dalla strada notiamo una piccola spiaggia circondata da un verde prato, attrezzata con tavolini e barbecu,e ed un piccolo bar. Finalmente abbiamo l'occasione per collaudare la nostra nuova tenda e di accamparci. Chiediamo il permesso a quelli che sembrano i gestori e, dopo qualche sguardo meravigliato, ci accordiamo con una piccola cifra. Il posto è meraviglioso e le acque del lago sono limpide: malgrado il clima fresco, Francesco non resiste alla tentazione di un bagno insieme ai ragazzi del luogo. Passiamo il pomeriggio a riposarci sotto un tiepido sole mentre famiglie e ragazzi si alternano sulla spiaggia. Diventiamo la vera attrattiva della giornata tra chi ci chiede cosa facciamo lì con una tenda e forse capirebbe a fatica che per noi nessun albergo reggerebbe il confronto. Ceniamo al tramonto ammirando i colori delle montagne che cambiano intorno al lago e ci addormentiamo cullati dal suono delle onde che si infrangono sulla spiaggia.

goris, tatev e il confine con l'iran: fine del viaggio verso est

Una volta che il lago Sevan scompare dai nostri specchietti, la statale M10 incredibilmente ben asfaltata sale al passo Selim incantandoci ancora una volta con i paesaggi caucasici che ci hanno accompagnato in questi giorni di viaggio. Ci fermiamo per per ammirare le curve che la strada disegna mentre i falchi volteggiano sopra di noi. Passiamo la valle di Yeghegis, stretto canyon di rocce rosse con strade sterrate che salgono a chiese millenarie ormai abbandonate. Nella valle Serena immortala una serie di auto di altri tempi così come l'unico distributore presente che ci ricorda quando mettevamo benzina al nostro motorino: si contano i giri di una lancetta per capire quanti litri mettere. Oltre c'è il Vorotan Pass che, con i suoi 2.344 m, segna il confine con la regione più a sud dell'Armenia. Prima di arrivare a Goris il lago Spendarian, a 2000 m di quota, ci regala viste incredibli sulle vette azere.

Goris con la sua città vecchia fatta di grotte scavate nella roccia vulcanica e di belle case in pietra sarà la nostra base per un paio di giorni. Mentre camminiamo per la città vecchia spunta un ragazzo che spinge una bicicletta carica; Huang è partito dalla Cina e attraversando la Karakorum Higway ha percorso i circa 15.000 km che lo separavano da casa a bordo della sua bici. Continuerà il suo viaggio verso la Turchia con il sogno di andare in Africa. Per raggiungere il monastero di Tatev con la moto affrontiamo una bella sterrata di circa 6 km e 18 tornanti che risale la gola del Vorotan. Il monastero ci appare abbarbicato su uno sperone di roccia,  in posizione dominante rispetto alla gola. Da Goris ci dirigiamo verso quello che sarà il punto di ritorno del nostro viaggio. Fino a Kapan la strada scende per una gola fino a valle per poi salire nuovamente sul versante opposto. Da Kapan, invece, inizia un anello che ci permetterà di arrivare fino al confine con l’Iran. Per la prima metà seguiamo la strada panoramica che attraversa la riserva naturale di Shikahogh e che sale fino a circa 2.400 m lungo la quale non incontriamo nessuno tranne alcuni pastori che si affacciano curiosi dalle piccole case usate per la transumanza. Mano a mano che andiamo verso sud e ci avviciniamo all’Iran, le temperature si fanno più elevate e il paesaggio diventa più brullo e giallo. Il confine è rappresentato da un fiume e da una linea di filo spinato ad alta tensione. Meghri rappresenta il punto in cui inizia l’inversione; qui finisce infatti il nostro viaggio verso sud – est, ma potrebbe anche essere un punto di inizio per un nuovo viaggio… 

yerevan: tra futuro da costruire e un passato da non dimenticare

Città crocevia di culture dell’Est e dell’Ovest, nata nell’impero Urartiano e invasa nei secoli da arabi e russi, Yerevan si presenta oggi come una città cosmopolita fiera del suo passato e con uno sguardo proiettato al futuro. Piazza della Repubblica, oltre che essere il fulcro della vita politica e sociale del Paese, con le sue fontane danzanti e i suoi bei palazzi è forse l’attrazione più bella della città. La Cascata, una lunga scalinata che risale il fianco della collina, ci ricorda invece il suo passato sovietico rimasto solo nell’architettura squadrata e imponente che doveva dimostrare tutta la grandezza dell’impero. Come quest’ultimo è però rimasta incompiuta e ad oggi trasformata grazie alla collocazione di opere d’arte di autori contemporanei e alla creazione al suo interno di varie gallerie d’arte. Dall’alto della collina lo sguardo di Madre Armenia è teso a difendersi dall’ultimo invasore: la Turchia. Poco fuori città, sorge invece il museo e il monumento commemorativo a quello che è stato il primo genocidio del XX secolo. Mentre camminiamo nei lunghi corridoi che spiegano come il morente impero ottomano trovò nella ricca cultura degli Armeni il nemico interno all’islamizzazione della popolazione, pensiamo a quante analogie ci sono tra questa tragedia e la Shoa. “Chi si ricorda del genocidio degli Armeni?” come disse Hitler nel 1939 per convincere i suoi che il piano di sterminio degli ebrei poteva funzionare; ed è quello che pensiamo anche noi che solo oggi conosciamo meglio la realtà di questa storia ignorata e poi dimenticata da un’ Europa che l’ha scoperta e riconosciuta davvero troppo tardi. Le cose più belle di Yerevan rimangono però il calore e la voglia di conoscerci dei suoi abitanti, la cultura popolare che rivive in un ballo tipico eseguito per strada da due giovani donne e un anziano accompagnati da tre semplici strumenti e lo stupore negli occhi dei bambini incantati di fronte allo spettacolo delle fontane danzanti.

Da Yerevan è facile raggiungere Echmiadzin, la santa sede della chiesa armena, luogo dove si dice che San Grergorio costruì la prima chiesa mentre il monastero di Ghegard si trova alla fine di un canyon lungo 9 chilometri. Si dice che in tale monastero è stata custodita la lancia con cui venne trafitto il costato di Cristo, prima di essere trasferita a Echmiadzin. Ci hanno colpito le cappelle e le grotte in cui vivevano i monaci interamente scavate nella roccia, soprattutto per le loro piccole dimensioni e la poca luce filtrante che rendono bene l’idea della vita di privazioni. Fede e credenze popolari si incontrano in questo monastero dove i pellegrini oltre che per pregare vengono a lanciare piccole pietre in fessure nel muro o legano nastri di stoffa agli alberi sperando di esaudire così i propri desideri, e si bagnano con una sorgente che dicono regalare alla pelle una giovinezza eterna. Lungo la strada di ritorno a Yerevan ci fermiamo al tempio di Garni unico esempio rimasto nel Caucaso di tempio ellenico ricostruito, dedicato al dio Mitra. Quasi un miraggio trovarsi di fronte ad un’architettura a noi così familiare in questo territorio dove per via delle successive ondate di invasori non è rimasto niente di cultura classica. Accanto al tempio terme romane ed i resti del palazzo che l’imperatore Tiridate fece costruire come sua residenze estiva.

l'aragat e il bivacco piu' alto del nostro viaggio

Come sempre le strade che ci preoccupano maggiormente durante i nostri viaggi si rivelano tra le più facili da affrontare. Se non fosse per i cani dei pastori che ci rincorrono rischiando di farci cadere sugli stretti tornanti, avremmo conquistato i 3.200 m (ad oggi punto più elevato raqggiunto in sella alla nostra moto) del lago Kari senza difficoltà. Decidiamo di piantare la tenda per tentare il giorno successivo la scalata alla vetta del monte Aragat. Questo vulcano spento ha in realtà quattro vette che circondano il cratere. Per cercare di abituarci alla carenza di ossigeno facciamo una breve camminata anche per capire quale percorso dovremmo seguire il mattino seguente. Anche a questa quota abbiamo riprova del calore e dell'ospitalità del popolo armeno; infatti, quattro anziani signori vedendoci prendere l'acqua alla sorgente ci invitano al loro banchetto e, in un attimo, ci ritroviamo con un bicchiere di grappa in mano a brindare ancora una volta all'amicizia fra il popolo armeno e quello italiano. Sembra incredibile come tutti coloro che abbiamo incontrato conoscano le canzoni di Toto Cutugno, Albano, Romina o di Celentano.

Sveglia alle 4:00!  Sotto una luna che illumina il sentiero ci incamminiamo verso la vetta, mentre il lago in lontananza cambia colore mano a mano che il sole sorge. Il percorso non è difficile, ma salendo la carenza di ossigeno si fa sentire. Giunti al passo che separa la vetta sud dalle altre, si apre di fronte a noi il bellissimo scenario del cratere ancora interamente ricoperto da neve e delle vette che lo sovrastano. L'unica accessibile in sicurezza e senza attrezzatura sarà quella sud con i suoi 3.890 m. Al ritorno, proviamo a trovare il sentiero per la vetta ovest, che supera i 4.000, ma le grandi distese di neve non ci permettono di salire oltre. La parziale delusione viene però mitigata dai prati verdi in cui scorrono decine di torrenti e le distese di fiori di tutti i colori che ci accompagnano nella discesa dall'altro versante, mentre sopra di noi il sole è ormai alto.

vardzia e la sua valle

Lasciata alle spalle l'ultima bandiera armena con Serena che giustamente riesce a riottenere i soldi che il funzionario di banca voleva intascarsi, torniamo in Georgia.
Un altopiano a 2.000 m di altezza costellato da laghi e torrenti ci dà il "bentornati", ma sarà la gola che ci conduce a Vardzia a regalarci immagini ancora più belle. La struttura che ci ospita ha un enorme orto - giardino incredibilmente curato e lo scorrere del fiume fa di questo luogo una meta perfetta per conoscere i segreti di questa valle. Vardzia è un'antica città scavata nella roccia, sviluppatasi attorno ad un monastero; da lontano ci appare come un enorme condominio su ben 12 livelli e passiamo una parte del pomeriggio ad esplorare le grotte ed i cunicoli che le collegano. Tornando indietro per visitare la fortezza di Khertvisi, la moto ci regala un piccolo brivido con il cavo della frizione che, per il troppo gioco, si scollega. Dopo un attimo di panico è sufficiente reinserirlo nella sua sede e agire sul registro per aumentarne la tensione. Lontano dalla folla di turisti scopriamo, infine, il monastero di Vanis Kvabebi, dove un monaco ci accoglie stupefatto e ci indica la ripida via per raggiungere alla piccola chiesetta bianca incastonata nella parete rocciosa.

il ritorno in turchia: tra finta normalitÀ e zero turismo

Torniamo in Turchia dopo settimane di notizie, più o meno veritiere, riguardo alla situazione politica e sociale del Paese. Parenti e amici ci hanno più volte contattato per raccontarci come venivano riportatii fatti e per avere rassicurazioni sulla nostra condizione. Sicuramente il tentato golpe, di cui si può discutere la natura e le reali relazioni causa - effetto, ha fatto pensare anche noi, che solo poche settimane prima avevamo attraversato questa sconfinata nazione. Alla frontiera ci accolgono, invece, con acqua di colonia e un cay bollente ed i soliti sorrisi che ci hanno sempre riservato. A Kars notiamo centinaia di bandiere turche e manifesti, ma una vita che scorre come in tanti altri giorni. Questo non significa che il tentativo di colpo di stato non abbia portato tragiche conseguenze riguarda la condizione di libertà dei cittadini turchi, in particolare delle opposizioni, ma probabilmente l'eco amplificato dei media internazionali non farà del bene a quella fetta di popolazione che sul turismo ci campa. Con il passare dei giorni noteremo infatti una tragica carenza di turisti, anche in siti famosi e ben noti.
Anche per questo Ani risulta praticamente deserta e questo amplifica il senso di maestosa desolazione del ricordo dell'antica capitale dell'impero armeno.
Simbolo di tali sensazioni è la chiesa del Redentore con la sua metà rimasta in piedi che guarda il verde prato in cui una volta sorgeva la città. La chiesa di San Gregorio e i resti del castello ne delimitano gli antichi confini dando ancora l'idea della grandezza di uno dei centri più importanti lungo la Via della Seta, in cui al tempo vivevano centomila persone. Il fiume con il suo profondo canyon segna il confine con l'Armenia che ha visto togliersi i territori dell'Anatolia dell'Est in cui sono presenti i simboli del suo passato, come il monte Ararat e Ani stessa, facendo seguire al genocidio fisico il genocidio culturale dell'antico impero.

Il nemrut daji e l' occasione mancata chiamata kurdistan

Lungo la strada che ci porta a Katha, entriamo in quello che almeno geograficamente è chiamato Kurdistan; una grande area compresa tra Turchia, Iran e Siria in cui vive una buona parte di popolazione di etnia curda. Quando abbiamo progettato il nostro viaggio la situazione nel Kurdistan turco era davvero poco felice, quindi decidemmo di percorrere strade che lo tagliavano senza soste nelle grandi città. Ma lo stupore che abbiamo visto negli occhi di questa gente ogni volta che ci fermavamo e la voglia di comunicare ci ha davvero emozionato. Pensiamo a chi ha voluto fare le foto con l'Africa e a chi ci ha indicato strade. E allora ci chiediamo perchè questa gente debba essere priva di uno Stato malgrado la sua forte identità. Perchè l'Europa se ne ricorda solo quando parla del PKK ma mai come coloro che per mesi hanno accolto rifugiati e combattuto in prima linea contro lo stato islamico. Anche durante il tentativo di golpe si è fatto un gran parlare della situazione dei diritti umani dei turchi ma dove erano i media in questi anni quando gli stessi diritti venivano negati a queste persone? Sicuramente ci torneremo con più calma, anche per cercare di capirne di più.

A Katha montiamo la tenda nel giardino di un albergo per un prezzo irrisorio e l'accoglienza del padrone di casa Ciro permetterà di sentirci come a casa nostra: dopo giorni di vagabondaggio facciamo la lavatrice e la spesa per cucinare. Ciro non ci farà mancare pane fresco per la colazione e informazioni su cosa visitare. La sera, mentre ceniamo, in città si svolge una manifestazione del principale partito di opposizione che chiede prima di tutto la salvaguardia della democrazia anche dopo il tentato colpo di stato.
Il giorno seguente partiamo alla volta del Parco Nazionale del Nemrut Dagj, lungo un percorso di circa cinquanta km che ci porterà a visitare un antico ponte romano e Arsemia, un sito sacrificale dedicato ad Apollo. Il tratto finale di circa quindici chilometri sale ai piedi della vetta del Nemrut Dagj, dove Antioco I Epifane volle costruire "Il trono degli dei su fondamenta che nessuno avrebbe mai demolito". Attorno al tumulo di pietra a forma di cono con un diametro di 150 m e alto circa 50, sorgono due terrazze che guardano l'alba e il tramonto. Su ciascuna di esse sorgono nove statue di imponenti dimensioni che raffigurano lo stesso Antioco circondato dagli dei che riteneva fossero suoi antenati. La vista spazia sulle alture e sulla valle del fiume Eufrate e le statue che impressionano per la cura dei dettagli, malgrado le teste e parte dei corpi siano crollati, guardano questi spazi da più di duemila anni. Probabilmente il connubio tra la collocazione geografica e l'opera dell'uomo rende unico nel suo genere questo sito.

Scesi dalla vetta veniamo accolti con calore dalle guardie del parco nazionale e tra un bicchiere di cay e l'altro passiamo quasi un paio d'ore a chiacchierare con loro. Abuzer parla bene inglese e ci racconta di come quest'anno sia totalmente crollata la presenza dei turisti, passata dalle cinquecento visite giornaliere alle poche decine attuali, malgrado la costruzione di nuove strade e l'abbattimento del costo di ingresso. È curioso anche di sapere del nostro viaggio e di come si vive in Italia e fa da interprete a tutte le altre persone che vogliono partecipare alla conversazione. Una bella foto che racconta di questa gente sarà il nostro ricordo indelebile di questi incredibili posti.

Cipro in moto: un sogno realizzabile a patto che…

Quando abbiamo pensato al nostro viaggio l’occhio è caduto subito sulla poca distanza che separa la costa turca dall’isola di Cipro. Ancora inconsapevoli dei problemi burocratici che affliggono chi vuole arrivare sull’isola con un mezzo proprio abbiamo subito deciso che questa poteva essere la volta buona per visitarla. Come noto l’isola è ancora divisa in due parti; a sud la Repubblica di Cipro, che fa parte dell’Unione Europea, a nord la parte occupata dalla Turchia chiamata “Repubblica turca di Cipro del Nord,” non riconosciuta da nessuno. Prendendo il traghetto dalla costa turca sbarcando a Girne, nel nord, si è obbligati ad uscire solamente da tale parte. Abbiamo quindi dovuto costruire un itinerario che prevedesse il ritorno in Turchia fino alla costa Egea, per poi imbarcarci verso la Grecia, escludendo la nostra prima ipotesi di tornare verso Atene direttamente da Cipro. Al porto di Tusucu ci imbarchiamo dopo aver sbrigato tutte le formalità di frontiera previste dall’uscita della Turchia; le stesse formalità ci sono toccate allo sbarco a Girne, la mattina seguente, per essere ammessi in uno Stato che di fatto non esiste. Capiremo soggiornando sull’isola come la pensano i ciprioti. Girne e il litorale vicino si rivelano un susseguirsi di spiagge a pagamento occupate da enormi resort che hanno tragicamente cambiato la bellezza naturale della costa. Masse di turisti russi e inglesi cancellano le nostre aspettative di trovare spiagge per lo più incontaminate e libere. Solo a sera riusciremo a godere di un bagno rinfrescante insieme ai turco-ciprioti, in una piccola baia indicataci da un abitante del posto. La catena montuosa di Kirenia ci regala invece i due bellissimi castelli dei Lusignano, Sant’Ilarione e Buffavento e l’abbazia medievale di Bella Pais. Per arrivarci si percorrono strade di montagna strette e tortuose ma che regalano incredibili panorami: da un lato sulla costa e dall'altro sulla piana che porta a Nicosia.

Penisola di Karpas: il sogno si avvera

Se il tempo di ogni spostamento nel Caucaso era di difficile previsione, nella Repubblica turca di Cipro del Nord una fitta rete di strade statali a quattro corsie permettono di percorrere velocemente le tratte più lunghe. Dirigendoci verso la penisola di Karpas percorriamo una di queste statali che gode, però, di incredibili panorami sulla costa. Ma il bello inizia quando entriamo nel parco naturale della penisola di Karpas, dove la speculazione edilizia non è, per ora, riuscita a modificare la bellezza di questa luoghi. Attreversando Dipkarpaz notiamo come le antiche chiese ormai in disuso si affaccino sulla stessa piazza delle moschee. I volti parlano di una vita dura fatta di agricoltura e pastorizia. Arrivati sulla costa piantiamo la tenda in un piccolo campeggio ad un volo da Golden Beach (la più bella spiaggia di Cipro) ad un prezzo irrisorio. Qui il mare turchese incontra una spiaggia di sabbia bianca, dove da maggio a settembre le tartarughe vengono a depositare le loro uova, e le dune ricche di macchia mediterranea rendono il luogo ancora più selvaggio. La vista non incontra nessuna struttura fissa se non pochi bungalow che si nascondono nella vegetazione. Con la moto, percorrendo strade sterrate, riusciamo a trovare altre baie incontaminate fino a raggiungere il Capo dell’Apostolo Andrea, dove le scogliere si tuffano in mare. Trascorriamo tre giorni in questo angolo di paradiso tra un tuffo in acque limpide e una cena a base di pesce che prepariamo mentre guardiamo il mare. Saranno i gorni più rilassanti del nostro viaggio.

dal nord a sud: occupazione inglese e l'ultima capitale divisa

Dopo le lungaggini burocratiche per entrare a Cipro Nord dalla Turchia, ci aspettavamo altrettanto nel passaggio dal Nord al Sud dell'isola. In realtà, il controllo è poco più che una formalità che dura pochi minuti. Passata la linea verde si attraversa una delle due basi militari inglesi rimaste nella Repubblica di Cipro dopo la brevissima indipendenza ed è impressionante vedere scuole, locali e negozi degni di una cittadina del Regno Unito. In realtà, potremmo parlare di una occupazione di queste aree simile a quella turca nel nord, ma Cipro rappresenta un ponte strategico fondamentale verso il Medioriente ed anche se l'isola tornasse all'unificazione poche sarebbero le speranze di vederla libera da questa ingombrante presenza militare. Oltre che dai militari inglesi, Cipro è ben occupata dai turisti anglosassoni e russi che prendono d'assalto località come Protaras, un agglomerato di hotel residence, fast food e locali creati apposta per chi vuole bere senza spendere troppo (con il sottofondo di pessima musica commerciale) e che niente hanno a che vedere con lo stile di vita cipriota. Una città, che ci hanno spiegato, d'inverno diventa fantasma, ma che ci è servita come base per esplorare la penisola di Capo Greco.
Questo lembo di terra è attraversato da un'unica strada asfaltata e tanti percorsi sterrati che noi decidiamo di percorre con due MTB per vedere se riusciamo ancora a pedalare. Con un po' di fatica raggiungiamo il punto panoramico e le grotte marine fermandoci poi a fare un tuffo dalle basse scogliere in  queste splendide acque turchesi. Ma in un giorno visitiamo anche Fig Tree Bay e quello che c'è di veramente bello di questa zona.

Il mattino seguente ci spostiamo verso Nicosia. Potremmo parlare delle eleganti vie di Nikosia Sud e del curatissimo museo archeologico con la sua collezione di statue in terracotta unica al mondo o della moschea di Selimiye di Nikosia Nord e delle sue viuzze tortuose, ma è inevitabile concentrare la nostra attenzione sul checkpoint che divide in due la città. Per noi un confine assurdo che separa le due anime che arricchiscono Cipro, abitata da ciprioti di origine e fedi differenti, ma che non avrebbero nessuna difficoltà a convivere come successe fino all'occupazione turca del 1974. Così almeno ci raccontano le persone di entrambe le parti della cittàalle quali abbiamo chiesto quale fosse la loro "origine" (turca o greca) rispondono SEMPRE di essere Ciprioti. Al checkpoint di Ledra Street, dedicato esclusivamente ai pedoni e alle biciclette, basta uno sguardo e un timbro sul passaporto per entrare in un bazar che potrebbe trovarsi in una qualunque città turca mentre, a sud, le boutique di alta moda si susseguono lungo la via pedonale come in una qualsiasi capitale europea. Ma le due anime di questa città rimangono divise per l'interesse di chi ha voluto così e non ha nessuna intenzione di far tornare le cose come stavano.

monti trodos

Dopo giorni di caldo afoso trascorsi per la maggior parte in spiaggia, arriva il momento di esplorare le montagne di questa isola. I monti Trodos sono una delle due principali catene che attraversano Cipro e raggiungono 1.952 m con il Monte Olimpo. Se si è motociclisti la strada dall'asfalto perfetto che sale fino alla località di Trodos vale da sola il viaggio. Forse ci si potrebbe anche avventurare in una delle belle sterrate ma la presenza di una base militare greca di cui risuonano i cori dei militari ci fa desistere da questa idea. Se si è escursionisti e campaggiatori imperdibile venire fin quassù a camminare tra foreste incontaminate e torrenti impetuosi. Se si è, come noi , entrambe allora si è proprio fortunati a essere qui! Piantiamo la tenda presso il campeggio comunale che, per pochi euro, ci offre una spaziosa piazzola e dei servizi essenziali ma ben tenuti. Da qui l'indomani seguiremo due percorsi; il primo, un anello attorno al Monte Olimpo, ci farà scoprire la flora di queste montagna, l’altro ci condurrà al piccolo paese di Platres passando per le cascate di Kaledonia. La sera, è piacevole addormentarsi dentro il sacco a pelo (dopo giorni in cui l’aria condizionata era diventata obbligatoria per dormire) e guardare un cielo stellato in cui si riconosce la via lattea difficilmente visibile dalle nostre parti. 

lemesos, paphos e gli sterrati della penisola di akamas

Nemmeno il tempo di abituarsi alle piacevoli temperature montane che scendiamo verso la costa approdando a Lemesos in un tranquillo sabato mattina. Immediatamente possiamo capire come questa città rappresenti bene lo stile di vita del popolo cipriota: canti dalle chiese ortodosse si alternano al richiamo del muezzin dalle moschee.
La vita è presente nei "caffeneio" già al mattino presto e sulle spiagge cittadine si incontrano anziani signori a passeggio, pescatori che fanno ritorno dalla notte passata in alto mare e giovani che si accingono ad aprire le proprie attività. Da Lemesos visitiamo la Spiaggia del Governatore, dove incontreremo per la prima volta le tartarughe; l'antico monastero di San Nicola dei gatti, con un'addormentata colonia felina, e il meraviglioso sito archeologico di Kourion. Spostandoci verso Paphos rimaniamo folgorati dai mosaici dell'antica città che ci parlano di mitologiche e impossibili storie d'amore e di lotte di antichi gladiatori. 

L'ultimo lembo di terra che ci rimane da visitare di quest'isola è un territorio incontaminato, percorso da sole sterrate che farebbero la gioia di tanti enduristi. Da Polis, dove soggiorniamo, la strada sale tortuosa verso le alture di Akamas fin sopra gli 800 m; da qui il mare ci appare lontano e ancora più blu e i vigneti ci circondano a perdita d'occhio. Durante il nostro soggiorno abbiamo assaggiato vini bianchi e rossi squisiti provenienti da diversi produttori locali; si dice che Cipro sia stata la prima zona di produzione vinicola al mondo con una tradizione lunga più di 7.000 anni. Tra i più buoni che abbiamo assaggiato citiamo lo Xinisteri, un bianco secco ma fruttato che bene accompagna formaggi locali e piatti di pesce. Da ricordare anche il "Commandaria" vino rosso dolce da dessert apprezzato addirittura da Riccardo Cuor di Leone durante il suo matrimonio che si svolse proprio a Cipro.
Superato il passo di Akamas, si scende verso la parte occidentale della penisola e con una sterrata di circa dieci chilomeri si raggiunge la spiaggia di Lara un paradiso fatto di sabbia bianca in cui le tartarughe hanno già deposto le loro uova. I nidi sono circondati da strutture metalliche poste a protezione sia dall'uomo che delle volpi da un'associazione di volontari. Il ritorno lungo la stessa strada ci regala un'emozionante ombra lunga e colori rosso fuoco che ricorderemo tra i momenti più belli di questo viaggio. Non abbiamo la stessa fortuna con la sterrata del lato opposto della penisola e siamo costretti a parcheggiare la moto e proseguire a piedi. In realtà, la scelta obbligata si rivelerà la migliore perchè, in soli cinque chilometri di cammino, raggiungeremo le baie di Fontana Amoroza e Laguna Blu, che si riveleranno tra le più belle dell'isola. In una piccola caletta saluteremo il mare di Cipro con un incontro straordinario: una tartaruga nuoterà per qualche istante a pochi metri da noi.

il lungo (e lento) ritorno verso la grecia e i giorni da vacanzieri a lefkada

Dopo una nottata passata in traghetto ci aspetta la tappa che si rivelerà più lunga sia come distanza che come ore di guida. La strada costiera che da Tasucu arriva fino ad Alanya è panoramica ma piena di camion difficilmente sorpassabili. Dopo quattro ore, abbiamo percorso solo 200 km e arrivare in serata a Bodrum come avevamo preventivato sembra un miraggio. Da Alanya la costa è un susseguirsi di resort a cinque stelle e il traffico scorre ancora lento tra i mille semafori. Fortunatamente, giunti a Antalya e proseguendo verso l'interno, ci ritroviamo su una bella statale sulla quale siamo liberi di aprire il gas e la media di km percorsi inizia ad alzarsi. È ormai sera quando superiamo l'ultimo passo che ci divide dall'Egeo, a 1.600 m, su una strada sterrata nel buio e giungere a Bodrum ci sembra una liberazione. Nonostante l'ora tarda ci concediamo una cena di tutto rispetto in riva al mare, in questa città che già conoscevamo e che è sempre piena di vita. Il resto è un viaggio già vissuto con il traghetto che ci porterà sull'isola di Kos e successivamente al porto del Pireo per il ritorno definitivo nella comunità europea. Proseguiamo lungo lo stretto di Corinto per raggiungere Lefkada e dopo le migliaia di km da motociclisti solitari ci sembra così strano vedere  tante moto italiane che circolano da questa parte della Grecia. Purtroppo notiamo come l'abbigliamento di molti di loro non sia adatto a viaggiare in moto e noi che, anche con 40° non rinunciamo alle nostre divise, passiamo per folli agli occhi di chi guida in infradito e bermuda. Difficile rispondere a chi ci chiede che giro abbiamo fatto, tra chi ci guarda con ammirazione e chi non capisce la nostra scelta. I giorni di Lefkada ci serviranno per riposarci tra spiaggie belllissime ma stracolme (di italiani) e ritmi lenti da vacanzieri. L'ultimo viaggio sul traghetto che ci riporterà ad Ancona ci regalerà un bell'incontro con un trio di giovani motocisti ben assortiti con cui trascorreremo piacevoli ore a parlare di moto e viaggi.

Mentre davanti a noi scorrono gli Appennini seguiti dal lago Trasimeno e dal cartello che indica Firenze, dallo specchietto ogni tanto sembra apparire una mucca, una macchinina blu o un sidecar della Ural, magari stracarico di cocomeri e meloni. Ma è solo un po' di malinconia per un viaggio che è appena finito eche sembra così lontano quando leggiamo il cartello Pontedera. Non avevamo mai viaggiato così lontano e per così tanto tempo e sicuramente avremmo continuato a farlo verso est se ne avessimo avuto la possibilità. Per ora è bello far vincere la gioia di ritrovare la nostra famiglia e quello che siamo riusciti a costruire in questi ultimi anni.


Francesco, Serena e Africa